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Il metallo che ha rivoluzionato l'odontoiatria

Al solo sentore dell’anestesia, c’è chi strabuzza gli occhi e cerca eventuali e vicine vie di fuga; eppure in ambito odontoiatrico, come in nessun’altra disciplina, il paziente è il punto focale di ogni trattamento, che può definirsi virtualmente indolore.

Pensate di sottoporvi a qualsiasi altro intervento nell’ambito della medicina generale settimanalmente. Ebbene, credo che l’odontoiatra possa vantarsi di essere uno dei pochi specialisti ad effettuare costantemente terapia del dolore.

Non esistono controindicazioni assolute all’uso di anestetici locali, se non nel caso di conclamate allergie, per cui, con la giusta terapia farmacologica, ogni tipo di trattamento è esente da dolore.

Prima di tutto, cosa è un impianto ?


E’ essenzialmente una protesi, ovvero un dispositivo medicale, in grado di ripristinare forma e funzione. Nel nostro caso specifico, si tratta di una radice artificiale, in titanio, che viene inserita all’interno dell'osso delle arcate mascellari.

È una cosa sicura ?

In buone mani si è sicuramente al sicuro, in quanto, se la situazione non lo consentisse, sussisterebbe pur sempre la scelta di non inserire l’impianto. Ma filosofie a parte, l’implantologia non è una scienza dei nostri giorni, ma prende i suoi primi passi poco prima del 1950. A circa sessanta anni di distanza le tecniche si sono ovviamente evolute e si è arrivati ad una predicibilità del trattamento superiore al 90%.

La protesi implantare è in titano, materiale biocompatibile e studiato da oltre un cinquantennio. Il suo utilizzo in ambiente sterile assicura una virtuale assenza di rigetto e nessuna reazione a lungo termine dell’impianto.

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Ma come avviene l’intervento?

Qualche decina di anni fa, molte persone anziane soffrivano di problemi artrosici alle ginocchia; oggi la medesima fascia d'età è felice portatrice di protesi.

Ebbene lo stesso discorso è avvenuto in ambito odontoiatrico e trattamenti che fino a poco tempo fa si dicevano costosissimi e per elite, oggi riescono, con i dovuti compromessi, ad offrire stessi vantaggi, ma ad un costo minore ( e per costo si intende non solo quello economico, ma anche quello biologico, emotivo e quant’altro ).
Un’altra componente dell’impianto è il moncone. Anch’esso in titanio o in zirconio, viene più generalmente avvitato all’impianto ad un torque prefissato per assicurare l’assoluta stabilità dell'accoppiamento fra le due parti, anche a distanza di anni. 
Una volta raggiunta questa configurazione, per giungere al lavoro definitivo, si procederà con gli stessi passaggi necessari per la fabbricazione di una corona su dente naturale.

In sostanza, la chirurgia implantare oggi offre risultati ineguagliabili, al costo biologico di una anestesia locale: quella che si utilizza per una semplice carie.

Ovviamente non è tutto oro quello che luccica, in quanto sempre di chirurgia si parla; e così la comprensione tra le parti, ove il paziente avrà ben esposto cosa si aspetta dal trattamento ed il medico avrà spiegato cosa invece prevedrà un tale approccio chirurgico, sarà, insieme ad una buona dose di pazienza la ricetta del completo successo.

Si può lavorare dopo aver messo un impianto?

Le standardizzazioni ci consentono di uniformare la qualità dei trattamenti, eppure generalizzare non è corretto. 
L’inserimento di un singolo impianto richiede poco meno di un’ora, comprendendo le varie pause, e per cui attività lavorative poco impegnative fisicamente possono essere consentite; tuttavia ogni caso è a sé stante, in quanto processi infettivi pregressi in situ, possono generare situazioni che necessitano di una gestione chirurgica più avanzata.

Per meglio chiarire, è fondamentale non stressare l’organismo, che deve essere lasciato libero di poter gestire l’infiammazione benigna che abbiamo generato all’interfaccia dell’impianto, al fine di consentirne l’osteointegrazione.

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Cosa avviene dopo l’inserimento della vite?

Ciò che avviene è, in estrema sintesi, un progressivo "riempimento" dell’interfaccia tra osso e titanio. L'organismo produce nuovo osso che va a riempire l’area sopra citata, così da bloccare ( osteointegrare ) nell’osso stesso, l'impianto. Questa è la fase più delicata dell’osteointegrazione, in quanto i tessuti sono in via di formazione e qualsiasi insulto apportato altererebbe la fragile impalcatura che si sta generando.

Più impianti saranno inseriti, più dovrà essere posta attenzione al post operatorio. Un singolo impianto infatti, generalmente si inserisce in un apparato masticatorio per lo più intatto, mentre tre o più impianti, costituiscono un gap masticatorio piuttosto ampio; necessiterà per cui, nei casi in cui la protesizzazione immediata non fosse possibile, un’alimentazione semisolida per le prime due settimane.  Qualora il trattamento sia associato ad una protesi provvisoria fissa, è bene non sovraccaricarla con cibi di alta consistenza e nel caso di grosse riabilitazioni associate a protesi provvisoria mobile, sarebbe opportuno un’alimentazione semiliquida da effettuarsi senza la protesi, che va portata solo per ragioni estetiche. Ma ogni caso va esaminato con le debite eccezioni naturalmente.

Faccio uso di bifosfonati, cosa sono e perchè se ne parla ?

Sono una classe di farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo, usata massivamente a partire dagli anni 90, quando se ne intravide una loro positiva azione per ritardare i danni da osteoporosi.

Attualmente però, se ne è tornato a parlare non per ragioni del tutto positive. Pare infatti che alcuni pazienti in trattamento con tali farmaci, a seguito di interventi chirurgici orali, abbiano sviluppato severe complicanze da necrosi ossea, peraltro estremamente tenaci agli antibiotici.

Bisogna chiarire però, che non esiste una documentazione ben precisa a riguardo, ovvero : 

sappiamo che alcuni farmaci comportano un rischio maggiore di altri, ma naturalmente sono tanti i fattori potenziali, quali : la via di assunzione ( quella endovenosa, comportando una maggiore quantità di farmaco metabolizzato è la più rischiosa ), ma anche la durata del trattamento ed infine le dosi. Infine i pazienti che assumono bifosfonati per motivi oncologici, assumono dosaggi massivi non paragonabili a quelli per l'osteoporosi e per cui risultano ancor più drammaticamente a rischio.

Volendo concludere, chi ne fa uso deve tempestivamente comunicarlo al proprio dentista, il quale, in accordo col medico curante, provvederà a prevedere tempi idonei di somministrazione/sospensione del farmaco.
Ogni caso è a sé stante e richiederà un approccio diverso.

Quanto tempo ci vuole per un impianto?

La cosa è variabile.
Attualmente va molto di moda il concetto di carico immediato. La ritengo una grossa forzatura del marketing odontoiatrico, in quanto seppur sia una procedura abitualmente effettuata, non sempre sussiste l’indicazione per “caricare” cioè sottoporre a forze masticatorie il delicato sistema “ impianto-interfaccia-osso “ con provvisorio.

Comunque, nel caso in cui ci siano le indicazioni, il carico immediato accorcia il trattamento a circa 4-5 mesi.

Nel caso invece di chirurgia sommersa, i tempi aumentano di ulteriori 3-5 mesi.

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Ma queste tempistiche sono del tutto orientative.

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